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Le banche tengono ma ora sono i soci a contare di più

di Orazio Carabini

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24 novembre 2009

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Il 26 ottobre si era tuttavia consumato un fatto significativo: nella sede di Milano del ministero, Tremonti incontra Guzzetti, il vicepresidente di UniCredit Fabrizio Palenzona e i due banchieri di punta del sistema, Corrado Passera e Alessandro Profumo. Un segnale di distensione che trova conferma alla Giornata del risparmio, quando Tremonti, che nel frattempo era sotto attacco nella maggioranza per la sua linea intransigente sul bilancio pubblico, usa toni concilianti rivolgendosi ai banchieri riuniti per ascoltarlo.

Ora che l'armistizio, se non proprio la pace, è stato firmato, chi esce vincitore da questo scontro? Le banche hanno "tenuto" nella crisi. Hanno fatto sistema con le fondazioni, che hanno sborsato i soldi necessari per rafforzare il capitale e che, sia pure con qualche titubanza iniziale, hanno sostenuto il management. Tremonti, facendo passare il messaggio che i banchieri sono gli affamatori, ha strappato una serie di accordi a favore d'imprese e famiglie in difficoltà. E ritiene di aver messo in riga personaggi, che fino a pochi mesi prima sembravano invincibili. «Non cavalcano più due splendidi cavalli bianchi – dice un loro collega – ma due comuni "morelli"».

«Siamo in stand-by – spiega un autorevole politico di lungo corso –. Le banche hanno resistito e sono 1-1 con il governo. Ma la crisi ha spostato i poteri d'influenza. Succede sempre quando l'economia è in difficoltà: il potere d'influenza della politica aumenta. È importante che siamo riusciti a evitare quei rigurgiti di dirigismo che sono stati sfiorati con la storia dei prefetti. Dove la cultura del dirigismo ha un solido sostrato, come in Italia, queste trovate possono essere pericolose».

«In questo momento la politica è tornata al centro della scena – conferma Bruno Tabacci, leader del nuovo movimento Alleanza per l'Italia e attento osservatorio dei meccanismi del potere – mentre le banche sono uscite intimorite dalla crisi».

«Perché – si chiede un importante banchiere – Tremonti si è tanto infuriato di fronte al rifiuto delle banche di sottoscrivere i Tremonti bond? Era solo una questione di principio e di prestigio oppure voleva davvero mettere uno zampino dentro le banche?». I banchieri non hanno dimenticato le battaglie di Tremonti degli anni scorsi. Quella del 2002 sulle fondazioni, che lo vide soccombere di fronte alla tenacia di quel Guzzetti che ora gli ha teso la mano. E quella del 2004 sui casi Cirio e Parmalat, che portò all'approvazione della legge sul risparmio. Si sentono un po' perseguitati dal ministro. E non hanno gradito l'ascesa di Massimo Ponzellini al vertice della Popolare di Milano.

Il manager bolognese, molto legato al ministro, ha conquistato la guida della banca milanese appoggiandosi ai sindacati interni. E ha assunto posizioni "autonome". Sui Tremonti bond, per esempio: dopo averli chiesti ha affermato che sarebbero serviti a dare più soldi alle imprese. O dichiarando che «avrebbe offerto un piatto di tortellini» all'imprenditore siciliano che faceva lo sciopero della fame sotto la sede di UniCredit: «Mi farei spiegare il problema e lo aiuterei», ha aggiunto in un'intervista. Ponzellini, oltretutto, fa parte del comitato esecutivo dell'Abi, che è un po' il "gran consiglio" dei banchieri dove si elaborano le strategie e si discute dei problemi con la politica. «Adesso – dice uno di loro – è come avere il ministro presente».

I bersagli preferiti dell'offensiva di Tremonti sono stati Passera e Profumo, leader indiscussi (entrambi provenienti dalla nota società di consulenza McKinsey) delle due maggiori banche italiane e tra le prime in Europa. «Il sistema politico – spiega un altro autorevole banchiere – ha sempre visto le banche come un centro di potere. È una prerogativa tutta italiana dove non siamo capaci di lavorare insieme per raggiungere obiettivi comuni. Purtroppo non fa parte della nostra cultura. Comunque, questa idea che le banche avessero troppo potere girava da tempo, forse c'è sempre stata. Così com'è convinzione diffusa che i banchieri più importanti siano legati al centro-sinistra. E allora l'occasione era ghiotta: se saltano Profumo e Passera magari ci mettiamo due più "simpatici". Forse volevano farli saltare perché sono indipendenti».

«Le banche hanno una legittimazione se sostengono l'economia», taglia corto l'amministratore delegato di una grande società di servizi. Ed è proprio questo uno dei punti su cui ha battuto il governo in questi mesi: le banche hanno perso il contatto con il territorio, non sanno più valutare il merito di credito mentre dovrebbero essere un'"infrastruttura" che aiuta il resto dell'economia a funzionare bene e a crescere. «È una questione di filosofia – osserva un banchiere –: la banca deve fare selezione del credito o ci sono momenti in cui deve erogare a tutti? O deve essere il sistema politico a fare la selezione del credito?».

Le grandi banche riconoscono che il problema della vicinanza al territorio esiste e stanno correndo ai ripari. «Il vincolo più grosso – ammette uno dei banchieri più autorevoli – è che non abbiamo più una classe di direttori di filiale in grado di fare quello che facevano una volta». Non è un caso se vanno di moda le banche di credito cooperativo (Bcc), cooperative di piccola dimensione che hanno mantenuto il loro radicamento territoriale senza peraltro avere la capacità di "fare rete". Adesso Tremonti le ha elette a interlocutore del Tesoro per quella Banca del Sud che sta per nascere e che piace poco alle altre banche, convinte che sia uno strumento per restituire alla politica la selezione del credito. Come accadeva fino a 15 anni fa.

  CONTINUA ...»

24 novembre 2009
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